mercoledì 21 ottobre 2009

AMPIA INTERVISTA SUL GIORNALE DI BRESCIA: Ali bianche sul Barbarossa. Intervista ad Elena Percivaldi sulla battaglia di Legnano fra storia e leggenda

ALI BIANCHE SUL BARBAROSSA
Intervista ad Elena Percivaldi sulla battaglia di Legnano fra storia e leggenda
La fortuna favorì i Comuni, poi misteriosamente apparvero tre colombe

di Maria Pia Forte

Occhi celesti e penetranti, forte e ben proporzionato, capelli rossicci e barba fulva: taleera l’aspetto di Federico Barbarossa. Non era usuale, nel XII secolo, un re barbuto: su imitazione degli antichi, i sovrani lasciavano la barba a eremiti, pellegrini e militari. Proprio da questi ultimi Federico I di Hohenstaufen, figlio del Duca di Svevia, aveva imparato questo costume, quando, ingioventù, aveva partecipato a una crociata in Terrasanta.
Così racconta la storica Elena Percivaldi, membro della Società Storica Lombarda, nel volume «I Lombardi che fecero l’impresa. La Lega e il Barbarossa tra storia e leggenda» (Ancora Editrice, 227 pagine, 16 euro).
Si tratta di un libro che con scorrevole chiarezza si addentra nelle intricate vicende del XII secolo in Italia, caratterizzato dall’aspra lotta tra Papato e Impero e tra questo e i sempre più ricchi Comuni del Nord Italia, insofferenti dei vincoli imposti dall’Imperatore tedesco da cui dipendevano; e che, toccando temi oggi ammantati di simbologie come Lega Lombarda, giuramento di Pontida e così via, cerca di chiarire dovefinisca la storia e cominci il "mito".

Dottoressa Percivaldi, che tipo era il Barbarossa?
Era un uomo poco avvezzo a filosofeggiare e moltoportato all’azione. Appresa sin da giovane l’arte della guerra, non era privo di acume politico. Aveva un sogno grandioso: riportare l’Impero al ruolo universale rivestito da Carlo Magno e Ottone il Grande. Credette di poter imporre la sua autorità sui Comuni, senza capire quanto fosse mutata la situazione politica, sociale ed economica. Lo scontro fu inevitabile.E si conclusecon la sua sconfitta.

Cosa rese possibile, nella famosa battaglia di Legnano del 1176, la schiacciante vittoria dell’eterogeneo, male addestrato e male armato esercito comunale?
Potremmo dire la fortuna. All’inizio la battaglia si mette male per i Comuni; ma quando la fanteria è sulpunto di soccombere, arriva la cavalleria milanese. Il momento decisivo è la caduta dell’Imperatore da cavallo. Crollano con lui le insegne, i tedeschi perdono illoro punto di riferimento e corre voce che Federico sia morto. Sbandano e fuggono verso il Ticino, dove affoganoo vengono trucidati. Per la leggenda, invece, gli artefici della vittoria sono Alberto da Giussano e la sua Compagnia della Morte, e le tre colombe apparse sul campo, interpretatecome l’incarnazione di tre santi martiri molto cari a Milano e apportatrici di fortuna.

Quali erano le rivendicazioni dei Comuni? Si può parlare di aspirazione all’indipendenza?
L’Italia era parte dell’Impero Romano-Germanico e Federico non poteva accettare che al di sotto delleAlpi si battesse moneta, si eleggessero i consoli, si riscuotesserole tasse e si esercitassero diritti di mercato,tutte prerogative dell’Imperatore. A rivelare ciò che accadeva in Pianura Padana furono due lodigiani, che denunciarono all’Imperatore la prepotenza di Milano chiedendo il suo intervento; e fu il disastro! Il Barbarossa venne in Italia, mise Milano a ferro e fuoco epoi, nel 1158 a Roncaglia, impose a tutti i Comuni il diritto imperiale di nominare i magistrati, di amministrare la giustizia e di riscuotere le tasse. Da qui - proseguela ancora studiosa di questo interessante periodo storico - nacque l’opposizione, che avrebbe portatoa Legnano. Nessuna aspirazione all’indipendenza: i Comuni volevano solo tenersi quelle "libertates", che ormai avevano di fatto sottratto alla Corona. Mai si sognarono di mettere in discussione la fedeltà all’Impero,che per l’uomo del Medioevo era, come il Papato, legittimato a esercitare il potere per investitura divina.

D’altronde anche fra i Comuni c’erano divisioni e rivalità...
I due lodigiani corsi dall’Imperatore a denunciare latirannide di Milano, la fedeltà al Barbarossa di Pavia,di Como e della stessa Lodi e la riottosità di molti Comuni ad aderire alla Lega ne sono la dimostrazione. Milano era vista come il fumo negli occhi: sempre più popolosa e ricca, era la città più importante della Pianura Padana, grazie alla posizione geografica e al prestigiodei suoi arcivescovi, che dopo la disgregazionedell’Impero di Carlo Magno erano assurti a veri governatoridella città. Nella sua espansione verso il contado per ottenere il controllo sulle vie di comunicazione dirette al Centro Europa, finì per scontrarsi con i vicini,più piccoli e meno potenti, come Lodi e Como, assediati e distrutti.

Quali Comuni facevano parte della Lega fondata a Pontida nel 1167?
Sempre che Pontida ci sia davvero stata! Non esisteil testo di questo fantomatico giuramento: il primo aparlarne è uno storico del Cinquecento, Bernardino Corio, forse attingendo a documenti ormai perduti; ma nessun’altra fonte lo nomina. La prima riunione della Lega attestata è del 27 aprile 1167, e sappiamod ai cronisti del tempo che i milanesi giurarono insieme a cremonesi, a bergamaschi, a bresciani, a mantovanie a ferraresi, di unirsi contro le angherie imperiali perché «sarebbe stato meglio morire con onore piuttostoche continuare a vivere in modo così basso e disonorevole». I veneti furono i primi a unirsi in Lega, nel 1164, e in seguito si fusero nella Lega Lombarda, a cui aderirono anche le emiliane Piacenza, Parma, Reggio,Modena e Bologna.

Quale parte ebbe il Papato nello scontro fra Imperoe Comuni?
La Lega trovò un alleato in Papa Alessandro III,acerrimo nemico del Barbarossa, del quale avversavail disegno universalistico a scapito, anche, del ruolo papale. Federico non aveva accettato la sua elezione a pontefice e aveva sostenuto una serie di antipapi, provocando uno scisma nella Cristianità. Un’impuntatura- conclude la prof. Elena Percivaldi della Società Storica Lombarda - che alla fine avrebbe pagato cara.

Maria Pia Forte

IL GIORNALE DI BRESCIA, 21 ottobre 2009

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