venerdì 30 ottobre 2009

GAZZETTA DI PARMA del 29 ottobre 2009 - E Milano si ribellò all'Impero

Personaggio / Elena Percivaldi Autrice del saggio «I Lombardi che fecero l'impresa»
E Milano si ribellò all'Impero
«I Comuni non aspiravano all'indipendenza, ma a mantenere le “libertates'' sottratte alla Corona:
quanto ad Alberto da Giussano siamo nella leggenda e del giuramento di Pontida non c'è il testo»

di Maria Pia Forte

Occhi celesti e penetranti,
forte e ben proporzionato,
capelli e barba rossicci: tale
era Federico Barbarossa.
Non era usuale, nel XII
secolo, un re barbuto: su imitazione degli
antichi, i sovrani lasciavano la barba
a eremiti, pellegrini e militari. Proprio
da questi ultimi Federico I di Hohenstaufen,
figlio del Duca di Svevia, aveva
imparato in gioventù questo costume,
durante una crociata in Terrasanta. Così
racconta la storica Elena Percivaldi nel
volume «I Lombardi che fecero l’impre -
sa. La Lega e il Barbarossa tra storia e
leggenda» (Àncora Editrice, 227 pagine,
16 euro). Un libro che con scorrevole
chiarezza si addentra nelle intricate vicende
del XII secolo in Italia, caratterizzato
dall’aspra lotta tra Papato e Impero
e tra questo e i sempre più ricchi
Comuni del Nord Italia, insofferenti dei
vincoli imposti dall’Imperatore tedesco
da cui dipendevano; e che, toccando temi
oggi ammantati di simbologie come
Lega Lombarda, giuramento di Pontida
e così via, cerca di chiarire dove finisca
la storia e cominci il «mito».
Che tipo era il Barbarossa?
Era un uomo poco avvezzo a filosofeggiare
e molto portato all’azione. Appresa
sin da giovane l’arte della guerra,
non era privo di acume politico. Aveva
un sogno grandioso: riportare l’Impe -
ro al ruolo universale rivestito da Carlo
Magno e Ottone il Grande. Credette di
poter imporre la sua autorità sui Comuni,
senza capire quanto fosse mutata
la situazione politica, sociale ed
economica. Lo scontro fu inevitabile. E
si concluse con la sua sconfitta.
Cosa rese possibile, nella famosa battaglia
di Legnano del 1176, la schiacciante
vittoria del male addestrato e
male armato esercito comunale?
Potremmo dire la fortuna. All’inizio la
battaglia si mette male per i Comuni;
ma quando la fanteria è sul punto di
soccombere, arriva la cavalleria milanese.
Il momento decisivo è la caduta
dell’Imperatore da cavallo. Crollano
con lui le insegne, i tedeschi perdono
il loro punto di riferimento e corre voce
che Federico sia morto. Sbandano e
fuggono verso il Ticino, dove affogano
o vengono trucidati. Per la leggenda,
invece, gli artefici della vittoria sono
Alberto da Giussano e la sua Compagnia
della Morte, e le tre colombe apparse
sul campo, interpretate come
l’incarnazione di tre santi martiri
molto cari a Milano.
Quali erano le rivendicazioni dei Comuni?
Si può parlare di aspirazione
all’i n d i p e n d e n za ?
L'Italia era parte dell’Impero Romano-
Germanico e Federico non poteva
accettare che al di sotto delle Alpi si
battesse moneta, si eleggessero i consoli,
si riscuotessero le tasse e si esercitassero
diritti di mercato, tutte prerogative
dell’Imperatore. A rivelare
ciò che accadeva in Pianura Padana
furono due lodigiani che denunciarono
all’Imperatore la prepotenza di
Milano chiedendo il suo intervento; e
fu il disastro! Il Barbarossa mise Milano
a ferro e fuoco e poi, nel 1158 a
Roncaglia, impose a tutti i Comuni il
diritto imperiale di nominare i magistrati,
amministrare la giustizia e riscuotere
le tasse. Da qui nacque l’op -
posizione che avrebbe portato a Legnano.
Nessuna aspirazione all’indi -
pendenza: i Comuni volevano solo tenersi
quelle «libertates» che ormai
avevano di fatto sottratto alla Corona.
Mai si sognarono di mettere in discussione
la fedeltà all’Impero.
D’altronde anche fra i Comuni c'erano
divisioni e rivalità...
I due lodigiani corsi dall’Imperatore a
denunciare la tirannide di Milano, la
fedeltà al Barbarossa di Pavia, di Como
e della stessa Lodi e la riottosità di
molti Comuni ad aderire alla Lega ne
sono la dimostrazione. Milano era vista
come il fumo negli occhi: sempre
più popolosa e ricca, era la città più
importante della Pianura Padana grazie
alla posizione geografica e al prestigio
dei suoi arcivescovi, che dopo la
disgregazione dell’Impero di Carlo
Magno erano assurti a veri governatori
della città. Nella sua espansione verso
il contado per ottenere il controllo sulle
vie di comunicazione dirette al Centro
Europa, finì per scontrarsi con i vicini,
più piccoli e meno potenti, come
Lodi e Como, assediati e distrutti.
Quali Comuni facevano parte della Lega
fondata a Pontida nel 1167? Sempre
che Pontida ci sia davvero stata!
Non esiste il testo di questo fantomatico
giuramento: il primo a parlarne è
uno storico del Cinquecento, Bernardino
Corio, ma nessun’altra fonte lo
nomina. La prima riunione della Lega
attestata è del 27 aprile 1167, e sappiamo
dai cronisti del tempo che i milanesi
giurarono insieme a cremonesi,
bergamaschi, bresciani, mantovani e
ferraresi di unirsi contro le angherie
imperiali perché sarebbe stato meglio
morire con onore piuttosto che continuare
a vivere in modo così basso e
disonorevole. I veneti furono i primi a
unirsi in Lega, nel 1164, e in seguito si
fusero nella Lega Lombarda, a cui aderirono
anche le emiliane Piacenza, Parma,
Reggio, Modena e Bologna.
Quale parte ebbe il Papato nello
scontro fra Impero e Comuni?
La Lega trovò un alleato in papa Alessandro
III, acerrimo nemico del Barbarossa,
del quale avversava il disegno
universalistico a scapito, anche,
del ruolo papale. Federico non aveva
accettato la sua elezione a pontefice e
aveva sostenuto una serie di antipapi,
provocando uno scisma nella Cristianità.
Un’impuntatura che alla fine
avrebbe pagato cara.

I Lombardi che fecero l'impresa
Àncora, pag. 227, € 16

LA GAZZETTA DI PARMA, 29 ottobre 2009
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