Federico di Hohenstaufen prese l’abitudine di portare la barba durante la crociata, alla quale partecipò al seguito dello zio Corrado. A quei tempi per un personaggio di rango portarla era piuttosto raro. Ad averla, infatti, erano solitamente persone dalle qualità «particolari», come i santi, i penitenti e gli eremiti, oppure i pellegrini e i militari - che certo non avevano gli agi per radersi -, o ancora individui sospetti o ai margini della società. I re invece da secoli preferivano seguire il modello degli antichi e sbarbarsi perfettamente, visto che il volto glabro era indice di distinzione e nobiltà.
Il giovane Federico apprese dunque questo costume in Terrasanta, un po' in quanto soldato, un po' a contatto con i pellegrini, un po' vedendo i musulmani e i bizantini, per i quali invece era un tratto distintivo. Ed essendo, da buon tedesco, fulvo di capelli, la sua barba rossiccia sicuramente doveva dare particolarmente nell'occhio, suscitando in certi ambienti anche qualche alzata di sopracciglio. Quando entrò in conflitto con i lombardi, questi la presero subito di mira coniando sprezzantemente per lui il soprannome di Barbarossa e ricordandosi, grazie forse anche allo zampino di qualche chierico, che prima di lui, nell'antica Roma, il «barbarossa» per eccellenza era stato Lucio Domizio Enobarbo, meglio conosciuto come Nerone. Enobarbo, in latino Aenobarbus, ossia barba di rame. Un imperatore la cui condotta, in generale ma in particolare verso i cristiani, non era stata encomiabile, tanto da meritarsi il paragone con l'Anticristo. Da lui in poi quel colore aveva rappresentato una condanna sociale: chi è rosso di capelli è infido e crudele, di lui non ci si può fidare. Meglio starne alla larga, non si sa mai: potrebbe avere qualcosa a che fare con il demonio.
Questa, dunque, l’immagine diffusa dell’imperatore. Ma la nomea era poi così meritata? Scopritelo nella pagine del libro.
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